(Adnkronos) – Il 30% della popolazione mondiale è attualmente esposta a condizioni di caldo particolarmente critiche per la salute, per almeno 20 giorni all'anno, e la percentuale è destinata ad aumentare nei prossimi anni in relazione al cambiamento climatico e all'aumento medio della temperatura globale. La campagna #keepCool dell'Organizzazione mondiale della sanità sottolinea come le temperature elevate siano ormai tra i principali fattori di rischio ambientali per la salute pubblica, con un impatto crescente su lavoratori, individui fragili e sistemi sanitari. "La cronaca recente conferma che i lavoratori, in particolare quelli che trascorrono la maggior parte delle loro attività in contesti outdoor e/o indoor esposti ad elevate temperature, sono tra i soggetti che maggiormente subiscono gli effetti del caldo, con conseguente aumento del numero degli infortuni sul lavoro, anche mortali, e importante aumento dei costi sociali correlati". A fare il punto per l'Adnkronos Salute è Luigi Vimercati, professore ordinario di Medicina del lavoro dell'Università degli Studi di Bari e direttore Uoc Medicina del lavoro universitaria dell'Aou Consorziale Policlinico di Bari. "Uno strumento di ausilio al datore di lavoro per la gestione del rischio da calore – suggerisce lo specialista – risulta dal sito www.worklimate.it che prende in considerazione una serie di parametri ambientali e fattori legati all'attività lavorativa, integrandoli in indici biometeorologici che consentono giornalmente in real time di valutare il rischio per la salute dei lavoratori esposti. I principali parametri ambientali utilizzati dal sistema includono: la temperatura dell'aria, l'umidità relativa, la radiazione solare, la velocità del vento e, in parte, la copertura nuvolosa. Tra gli indici biometeorologici più rilevanti vanno citati il Wbgt (Wet Bulb Globe Temperature), che considera temperatura dell'aria, umidità, radiazione solare e vento, ed è l'indice di riferimento più utilizzato a livello internazionale per il rischio caldo in ambito lavorativo; l'Heat Index combina invece temperatura e umidità per stimare la temperatura percepita". Ma quali sono i principali settori a rischio? "Quello agricolo, le attività svolte all'aperto nelle cave e nei cantieri edili, ma l'attenzione deve essere rivolta anche verso numerosi settori produttivi che prevedono il lavoro in contesti indoor in cui vi è assenza di refrigerazione, quali la ristorazione, la panificazione e numerosi altri – risponde Vimercati – Ulteriore problematica è rappresentata dai contesti di lavoro dove persiste l'impiego di lavoratori spesso non contrattualizzati (ad esempio nel caso del caporalato), che sfuggono al censimento e alla regolare sorveglianza sanitaria, in assenza di un corretto impiego di misure di prevenzione specifiche". In questo contesto risulta rilevante il ruolo della medicina del lavoro "nella prevenzione degli effetti dello stress termico attraverso una corretta e attenta sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti, con l'adozione di protocolli di sorveglianza sanitaria che prevedano, oltre alla visita medica specialistica di medicina del lavoro, anche accertamenti di primo e secondo livello (elettrocardiogramma, ecocardiogramma)". "Se da un lato ci si può aspettare un calo della performance lavorativa nei lavoratori esposti ad alte temperature, il principale obiettivo della medicina del lavoro deve essere volto ad una valutazione della tolleranza individuale allo stress termico, con attenzione specifica ai lavoratori fragili per suscettibilità o comorbidità, al fine di individuare e adottare misure personalizzate di tutela. E' altresì utile scoraggiare abitudini voluttuarie quali l'assunzione di alcolici e bibite che contengono caffeina, in grado di incrementare la disidratazione corporea", rimarca Vimercati. Diventa dunque necessario mettere in atto le migliori strategie di adattamento per gestire il rischio specifico, "quali l'introduzione di regimi di acclimatazione al calore, consistenti in una esposizione lavorativa progressivamente crescente nel corso di 1-2 settimane, al fine di permettere all'organismo di adattarsi in modo graduale alle alte temperature. Inoltre, risulta fondamentale instaurare un adeguato ritmo lavoro-riposo – raccomanda il medico del lavoro – garantire l'impiego di ausili meccanici per le operazioni manuali più gravose, prevedere aree di riposo ombrate e fresche, misure di refrigerazione per i lavoratori, un adeguato accesso all'acqua per prevenire la disidratazione e, non da ultimo, una adeguata formazione e informazione dei lavoratori. Quest'ultima deve avere come obiettivo sia l'aumento della consapevolezza e della percezione del rischio da parte dei lavoratori, sia il riconoscimento tempestivo dei segni e sintomi di una eccessiva esposizione al calore, il tutto con corsi di formazione che tengano in considerazione la multietnicità e le differenze linguistiche tipiche dei lavoratori di questi ambiti occupazionali". "Oltre ai fattori ambientali, il sistema tiene conto anche di alcune variabili legate all'attività lavorativa, come il livello di intensità del lavoro (leggero, moderato o pesante), il tipo di abbigliamento indossato (che influisce sull’isolamento termico) e l'esposizione diretta alla radiazione solare", conclude lo specialista. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Caldo, alert lavoratori outdoor, il medico: “Oggi si può valutare rischio in real time”
