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PROCESSO GALILEI

L’irrefrenabile desiderio di conoscenza che apre nuovi orizzonti di libertà

Il testo teatrale in programmazione al Teatro Vascello di Roma dal 19 al 27 gennaio è basato su una struttura architettonica “corale”; nasce cioè dalla collaborazione di molteplici figure artistiche. Due registi: Andrea De Rosa e Carmelo Rifici, mettono in scena l’opera di due autori, Angela Demattè e Fabrizio Sinisi, avvalendosi anche del contributo di una dramaturg, figura professionale che svolge funzione di “produzione esecutiva”, mettendo in atto la politica artistica del teatro e facendo da connessione tra la direzione artistica della produzione, gli attori, il pubblico: Simona Gonella.

Ne risulta uno spettacolo ricco e composito, che riflette la diversità di pensiero e di linguaggio dei suoi ideatori, estremamente fertile di spunti di riflessione.

Lo spettatore viene accompagnato in un viaggio all’interno del mondo della scienza, che, prendendo ispirazione dalla vita e dal pensiero di Galileo Galilei, si articola in tre distinti cicli narrativi.

PROCESSO GALILEO foto © Masiar Pasquali

La prima parte è una ricostruzione storica del processo della Santa Inquisizione a Galileo Galilei, sostenitore della teoria copernicana eliocentrica sul moto dei corpi celesti in opposizione alla teoria geocentrica, sostenuta dalla Chiesa cattolica, che si concluse 1633 con la condanna dello studioso, in quanto “veemente sospettato di eresia” e con la pubblica abiura di quest’ultimo. Qui il linguaggio è quello austero ed arcaico dell’epoca ed indaga il rapporto tra scienza e potere e tra scienza e fede. I dialoghi serrati tra lo studioso, il suo discepolo Benedetto, sua figlia Virginia monaca di clausura, appassionati e di forte impatto scenico, affrontano il tema principale da cui parte e si sviluppa il dramma: il desiderio di conoscenza, di sapere è insito nell’uomo e non si può fermare. Le rigide regole imposte dal potere ecclesiastico sono per Galileo esse stesse in contraddizione con le Sacre Scritture, in quanto offendono l’intelletto umano, che è opera di Dio. Bisogna intendere la lingua dell’universo, guardare l’universo con occhi che vedono la realtà. Questo processo evolutivo naturale dischiude all’uomo “nuovi orizzonti di libertà”.

Nella seconda parte vediamo lo scienziato Galilei ai giorni nostri, alle prese con una serie di dilemmi legati all’uso che l’uomo ha fatto della scienza, ovvero degli ambiti di applicazione dei risultati acquisiti dalla ricerca scientifica. Fa l’esempio dello studio della divisione dell’atomo che aveva tra gli altri il nobile scopo di sconfiggere alcune gravi malattie, ma che ha anche trovato impiego nella creazione della bomba atomica, utilizzata nella seconda guerra mondiale. Ma la colpa, sostiene Galileo, non è della scienza, bensì della politica: Hiroshima fu una decisione politica, non scientifica. La conoscenza non ha (e non può avere) limiti: questi deve metterli la politica.

Come tenere insieme la “cura” e la conoscenza? Ecco uno dei temi fondamentali della nostra società. La storia ci ha però dimostrato che i politici non sono stati sempre in grado di imporre giuste regole e limiti alla scienza; poiché non erano “puri” di mente. Galileo condivide infatti il principio di Pitagora, secondo il quale solo gli uomini puri possono accedere alla conoscenza.

PROCESSO GALILEO foto © Masiar Pasquali

A questo punto della rappresentazione, accanto ed in contrapposizione allo scienziato, compare una giovane donna, presenza fissa sulla scena, prima ancora che inizi la rappresentazione; il pubblico che entra in sala la trova già là, sul palcoscenico, muta ed immobile con il suo pianoforte. Dopo aver espresso con musiche malinconiche i suoi dubbi e la sua ricerca della verità, diventa ora protagonista. Ella incarna, nel ruolo di figlia, madre ed intellettuale, la crisi della società moderna. Rappresenta la generazione che vive immersa nella tecnologia, nel progresso, che si interroga sulla scienza e sul futuro. Si confronta con la madre, contadina legata alla terra, che rappresenta il buon senso, la saggezza popolare del passato, ed interroga lo scienziato sul senso ed i risvolti inquietanti che l’evoluzione della scienza ha portato. Sullo sfondo il figlio, che non compare mai sulla scena, sempre “connesso”. La donna manifesta dubbi sulla sua educazione. Alla morte della madre appare sconvolta dal dolore, un dolore fisico e morale, che la devasta, che non sa accettare e non sa come spiegare al figlio. La sua è la disperazione di una umanità sconvolta dal lutto, perché privata del conforto della fede. Nel disorientamento che ne consegue accusa Galileo di essere il responsabile di tutto ciò, avendo lui affermato il libero pensiero scientifico, che ha portato alla perdita di tante rassicuranti certezze, senza riuscire a dare risposte adeguate a molti “misteri” della vita, come appunto quello così angosciosamente incomprensibile della morte.

Da qui inizia la terza parte della pièce, che si proietta nel futuro e si interroga su come potranno diventare le nostre vite sempre più condizionate dalla scienza e dalla tecnica. E da qui partono una serie di attacchi a Galileo, colpevole di aver avviato un processo basato su un metodo scientifico, che ha portato ad affidare sempre più alla tecnologia il destino dell’uomo, condannato a dipendere da macchine e ad essere sconfitto da queste.

Ma la grandezza di Galileo – ricercatore della verità, filosofo, scienziato ed umanista, fondatore della scienza moderna – trionfa alla fine dell’opera nell’acclamazione della verità assoluta che la conoscenza è il bene e l’ignoranza il male; che bisogna tenere gli occhi aperti verso il nuovo. Le leggi che governano la natura sono nel profondo; non le vediamo se non ne conosciamo la lingua e nessun papa e nessun imperatore potrà dire il contrario; la luce della scienza può rischiarare il mondo; essa è un dono degli dei. Gli uomini avevano davanti a sé solo il giorno della loro morte e lui li ha liberati; ha dovuto abiurare, ma ha dato loro una “luce”. E non si torna indietro, perché non c’è altra strada che questa: più luce! E luce si fa sulla scena; le lastre di terra poste sul palco vengono rivoltate e sospese nel vuoto; svuotate dalla terra del passato riflettono la luce del progresso scientifico irreversibile.

Anche il pianoforte si apre, viene inondato dalla luce, che illumina la struttura interna, mostrandone la perfezione tecnica, il meccanismo che lo fa funzionare; esso genera musica, arte, armonia e la luce ne evidenzia la bellezza “splendente” e la perfezione tecnica. Diventa simbolo della rivoluzione culturale del metodo scientifico, inaugurata da Galilei.

“Processo Galilei” è uno spettacolo emozionante, denso, bellissimo da vedere e da ascoltare, un testo potente, frammentario, a volte dissonante, come lo è il processo che narra, ma con una sua coerenza profonda, una realizzazione originale, raccontata con un linguaggio solenne e profondo. Perfettamente riuscito pertanto l’esperimento dell’opera a più voci, grazie anche alla bravura di grandissimi interpreti, quali i veterani Luca Lazzareschi e Milvia Marigliano, affiancati da giovani talenti: Catherine Bertoni de Laet, Giovanni Drago, Roberta Ricciardi, Isacco Venturini. Tutti straordinari nel loro ruolo, accomunati da una recitazione energica e coinvolgente, a volte entusiasmante. Spettacolo imperdibile!

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